In tante vecchie e nuove formazioni politiche è possibile constatare, negli ultimi tempi, un qual certo eurocriticismo. Fino a poco tempo fa le cause della crisi erano generalmente ricondotte alla corruzione, alla criminalità, all’evasione, non da ultimo agli italiani che avrebbero vissuto al di sopra delle loro possibilità. Oggi è prevalente sentir parlare di vincoli europei, di fiscal compact, di moneta unica, dell’assurdità delle politiche austeritarie. È il segno di un cambiamento? È il segno che la consapevolezza di alcuni nodi della dipendenza stia cominciando ad emergere? No, è il segno di un eurocriticismo di superficie –confuso, contraddittorio, approssimativo– che poco e malamente si connette ad un che fare? per un’idea alternativa di società, sia pur per fasi attuabile. È l’opportunismo di chi, cogliendo il malessere crescente e la ripulsa nei confronti del mostro politico e giuridico delle istituzioni dell’Unione Europea (UE), per via degli effetti devastanti –da molti anni a questa parte ormai– delle sue politiche, intende sfogarli sui binari morti di un eurocriticismo di facciata, portandoli all’incasso nelle scadenze elettorali. Questo eurocriticismo, infatti, si accompagna sempre a furbette rassicurazioni –per i poteri che contano– circa il voler rimanere nel campo di un unionismo europeo astrattamente riformato.
Di qui un ventaglio di estrose posizioni: chi vuol rinegoziare i Trattati (come se la Grecia del 2015, oggi silenziata dai massmedia, non abbia insegnato alcunché); chi riscriverli, come se fosse possibile stravolgerne l’impianto (modificabile solo all’unanimità) e non fossero lo sviluppo della filiera neoliberista CEE-UE con un groviglio di interdipendenze, di interessi, di piani inclinati per integrazioni sempre più strette; chi vorrebbe romperli per costruire un’altra Europa (senza nemmeno un come, con chi, su che basi); chi infine si inerpica rilevando l’incompatibilità tra la Costituzione italiana ed i Trattati UE, rivendicando la sovranità nazionale / popolare, ma senza porsi fuori dalla UE e proponendo modalità tecniche salvifiche (moneta complementare all’euro a circolazione interna; moneta fiscale come ad es. i CCF; minibot; Cassa Depositi e Prestiti da trasformare in Banca Pubblica; eccetera) a scavalcare disinvoltamente l’impianto ideologico e le misure ritorsive e restrittive su cui poggia la UE.
Nient’affatto estroso è il dibattito su un processo euroriformistico di matrice neoliberista in corso di definizione all’interno delle istituzioni della UE sulla base dei rapporti a firma Bresso-Brok (miglioramento del funzionamento della UE poggiando sul trattato di Lisbona), Guy Verhofstadt (evoluzione delle attuali istituzioni oltre i Trattati esistenti) e Böge-Beres (creazione di una capacità di bilancio autonoma per l’eurozona). A seguirne il merito, l’intendimento è quello di avvicinarsi ulteriormente se non passare direttamente da un assetto confederale ad uno federale dell’Europa condizionato dalle posizioni egemoniche della Germania, con Parigi alla ricerca di un’intesa di co-dominanza con Berlino, esito che prevedibilmente farà impallidire l’opera devastante della UE finora conosciuta.
Il ‘nodo’ della UE e dell’euro –lo sosteniamo da sempre– è dirimente. È inutile girarci intorno. Si tratta della condizione preliminare (principale) per un’alternativa di società (punto fondamentale). È illusorio rivendicare diritti sociali senza scioglierlo, senza liberarsene. Figuriamoci surrogandolo con altre Europe (im)possibili ed insensate che accreditano ideologicamente quella che c’è.
È necessario che cresca l’azione divulgativa, culturale, politica di Indipendenza. Non sottrarti a dare una mano per liberarci dalla sudditanza.
Indipendenza
(n. 44 – gennaio/febbraio 2018)