L’Unione Europea (UE) nasce come cornice istituzionale per il dispiegamento di quelle politiche (ordo)liberiste che hanno portato all’attuale depressione economico-sociale dell’Italia ed al rischio stesso di tenuta dell’unità nazionale. Purtuttavia ancora si prospettano catastrofi qualora la formazione economico-sociale capitalistica europea e la sua architettura finanziaria venissero meno e si tornasse alla piena sovranità da Stato nazionale. Chi ha magnificato UE ed euro, senza prevedere –o addirittura tacendo– le catastrofi in atto, non ha altro da dire che uscire dalla UE sarebbe una catastrofe più grande. Chi ha come obiettivo politico la liberazione dalla “governance” europea, dai suoi diktat, dai memorandum della BCE, dal predominio del mercato, dai vincoli imposti dai Trattati (da Maastricht al Patto di Stabilità, a Lisbona, al Fiscal compact, al pareggio di bilancio in Costituzione) e per questo rivendica sovranità nazionale e statuale, viene accusato di immiserimento del proprio popolo, sciovinismo, vocazione guerrafondaia. Insomma, ci si vuole ben dentro la gabbia della dipendenza, delle progressive cessioni di sovranità, della sudditanza gradualmente a tutto campo secondo la teorizzata linea dei “piani inclinati” in vista di status di volta in volta irreversibili.
Su questo sfondo –culturalmente succubi dell’idea politica di Europa– a sinistra e non solo ci si balocca con architetture istituzionali (confederalismo o federalismo?) collegandovi chi la formula “disobbedire ai Trattati!” (senza che mai si chiarisca in cosa consista questa disobbedienza) chi –in ambienti “sovranisti”– quella della “Confederazione di Stati sovrani” per conciliare sovranità nazionale e rassicurante idea di un’Europa diversamente unificabile, aggirando questioni storiche, culturali, sociali, geopolitiche, geoeconomiche enormi. Così da un lato, al centro delle “sovranità” statuali, si pongono Costituzioni e monete nazionali, dall’altro si delegano (in che termini e a chi?) difesa, politica estera e commercio perché altrimenti –anche qui accogliendo la propaganda eurocarolingia ed euroatlantica– non si reggerebbe in un mondo di grandi blocchi.
Nella Storia le Confederazioni o sono implose o hanno portato alla costituzione di uno Stato unitario federale. Su difesa, politica estera e commercio delle due l’una: o si procede ad una sommatoria instabile e confliggente di diversi indirizzi e interessi statuali (con paralisi di quei ‘poteri confederali’) oppure si delegano ad un ‘centro’ federale sovraordinato e sottratto all’intervento degli Stati confederati i poteri decisionali, le catene di comando, il reperimento dei fondi, scelta e gestione degli investimenti, ecc., con quel che conseguirebbe nel tempo.
Niente di nuovo se solo si ripercorre la filiera NATO, CECA, fallita Comunità Europea di Difesa (1952), CEE sino all’attuale UE oggi terreno di contesa tra asse carolingio (Germania, Francia e relativi vassalli) ed asse atlantico (Stati Uniti) invasivo a tutto campo nel nostro Paese dal secondo dopoguerra ad oggi.
Ora, certo sovranismo è abbastanza screditato: quello delle destre in realtà è alter-europeista, anti-nazionale (vedi anche il regionalismo differenziato) ed anti-popolare (vedi il modello liberista di riferimento). Non a caso queste forze sono referenti dell’attuale amministrazione USA che le utilizza in funzione anti-carolingia tramite il network “The Movement” del suo emissario Steve Bannon.
Ebbene, se certo (infondato) sovranismo ‘di destra’ è nudo, lo è anche quell’anti-liberismo di sinistra più o meno radicale che invoca democrazia in assenza di sovranità nazionale e statuale.
Indipendenza
(n. 46 – marzo/aprile 2019)