Il CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement) è un Trattato di libero scambio tra Unione Europea (UE) e Canada, in vigore, quasi interamente, dal 21 settembre 2017 a titolo provvisorio e a tempo indeterminato, intanto sottraendosi a opposizioni dei Parlamenti di Stati membri alla ratifica. Subordina le decisioni degli Stati della UE che non comportino barriere commerciali col Canada e non limitino l’amplissimo raggio d’azione concesso agli investitori canadesi nell’UE.
Il CETA istituisce una cooperazione normativa per prevenire ed eliminare le “barriere non necessarie” agli scambi bilaterali, con internamente due potenti ‘siluri’. Il primo riguarda i prodotti agricoli biotecnologici, cioè gli OGM, il cui processo di approvazione non sarà più fondato sul principio di precauzione, ma “sulla scienza”. Il principio di precauzione obbliga i produttori, che intendessero importare o mettere in commercio i loro prodotti, a dimostrarne la non pericolosità per la salute, mentre la “scienza”, applicata in Canada, considera gli OGM equivalenti agli alimenti convenzionali. Come risvolto pratico diventa non obbligatorio indicare nelle etichette sui prodotti la presenza di OGM e chi avesse dubbi sulla pericolosità di un alimento è obbligato a fornirne prova. In tal modo si esentano i produttori e sono eliminati i necessari controlli.
Il secondo ‘siluro’ mira ad istituire un comune approccio legislativo “neutrale” sulle tecnologie. Significa che i legislatori dovranno trattarle tutte allo stesso modo a prescindere dal loro impatto sociale ed ambientale. Ne deriva che gli Stati non potranno favorire con sovvenzioni ed incentivi fonti di energia rinnovabile a scapito, ad esempio, della trivellazione petrolifera nei mari per l’estrazione di combustibili fossili pur in presenza di gravi conseguenze di carattere ambientale. Se lo facessero, verrebbero citati in giudizio dalle multinazionali sulla base della clausola ICS (sostituisce, solo nominalmente perché pressoché equivalente, la classica ISDS in essere dal 2014), che consente l’apertura di un contenzioso contro gli Stati intrapreso dagli investitori qualora ritengano i loro interessi economici colpiti dall’intervento statale. L’esempio non è a caso. In questo momento l’Italia sta affrontando dieci arbitrati, il più importante contro la multinazionale britannica Rockhopper Extradition che ha intentato causa all’Italia (un risarcimento di 350 milioni di euro!) per il rifiuto a rinnovare la concessione per la piattaforma Ombrina Mare relativa alle trivellazioni petrolifere nel mar Adriatico entro le 12 miglia marine, conseguenza del divieto del parlamento italiano per tutte le operazioni di petrolio e gas vicino alla costa per preoccupazioni per l’ambiente, rischio di terremoti, danni alla pesca e al turismo. Un rifiuto figlio di forti proteste della popolazione abruzzese.
Da notare che la Rockhopper aveva acquistato la licenza nel 2014 (un’acquisizione per 50 milioni di euro della Mediterranean Oil & Gas, precedente detentrice della licenza) consapevole che il progetto non solo mancava di diverse approvazioni ma non aveva neanche il sostegno pubblico e politico. A fronte dei 50 milioni spesi ora ne chiede 350 come compensazione per i futuri mancati guadagni: denaro pubblico per compensare ipotetici profitti privati!
La risoluzione del contenzioso, come da prassi, prevede tre giudici, uno scelto dalla multinazionale, uno dallo Stato, uno di comune accordo ma, scrive Monica Di Sisto, portavoce della campagna Stop TTIP/CETA: «Oggi l’arbitrato internazionale è diventato una macchina da soldi che si autoalimenta grazie al conflitto di interessi. I giudici guadagnano se aumentano i ricorsi, ma le cause provengono unicamente dalle imprese, perché negli arbitrati lo Stato può vestire soltanto i panni dell’imputato. Ne consegue che deliberare a favore del privato è l’unico modo per mantenere in salute il meccanismo».
Il CETA fissa amplissimi spazi per l’intervento privato nei servizi (scuola, acqua, salute…) ed impegna gli Stati a non ridurli; un servizio liberalizzato o che lo sarà in futuro non potrà tornare –prevede il Trattato– di proprietà pubblica (clausole ‘standstill’ e ‘ratchet’). Vengono eliminate la quasi totalità dei dazi doganali esponendo le aziende italiane, soprattutto quelle agroalimentari, ad una concorrenza insostenibile sia per le loro più ridotte dimensioni sia per i livelli di produzione più alti e rigorosi, e gran parte delle “barriere non doganali”, cioè norme, regolamenti di conformità, criteri e simili che dettano le caratteristiche dei prodotti, istituiti per proteggere salute ed ambiente e d’impedimento a che una medesima merce possa essere venduta in Canada e nell’UE.
Nessun impatto positivo sull’economia italiana. L’ultima denuncia della Coldiretti riguarda il crollo delle esportazioni di formaggio nel primo semestre del 2019, rispetto al primo semestre dell’anno precedente, del 32%, anche per la legalizzazione del falso ‘made in Italy’ che, ad esempio, consente la produzione in Canada dell’imitazione del Parmigiano Reggiano con l’apposizione dell’etichetta ‘Parmesan’. Crollo, negli stessi periodi, delle esportazioni di olio d’oliva, 20% nella quantità e 27% nel valore. È aumentata di quasi nove volte la quantità di grano importato dal Canada, un balzo – sottolinea Coldiretti– favorito dalla concorrenza sleale dei prodotti che non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale vigenti in Italia: il grano duro canadese viene trattato con l’erbicida glifosato in pre raccolta secondo modalità vietate sul territorio nazionale con la maturazione che avviene al sole.
Infine una (provvisoria?) buona notizia: il parlamento di Cipro ha votato, lo scorso luglio, a larga maggioranza, il rifiuto del CETA e subito sono partite pesanti pressioni dalla dirigenza UE per una ripetizione del voto. Per entrare definitivamente in vigore, il Trattato dev’essere infatti ratificato da tutti gli Stati membri dell’UE ed alcuni (Germania e Francia, ad es.) per ragioni di proprio ‘export’ sono più interessati di altri. Importante battersi anche in Italia per bloccare questo Trattato così disastroso per i nostri interessi nazionali.
Fabrizio Mezzo
(n. 49 – settembre / ottobre 2020)