Dopo la disastrosa privatizzazione avviata da Prodi e conclusa con i ‘capitani coraggiosi’ racimolati da Berlusconi (CAI), la catastrofe araba di Ethiad a regia Renzi-Montezemolo (SAI) con tanto di spot-televendita in hangar a Fiumicino (‘allacciate le cinture, Alitalia decolla!’), i cocci tornano allo Stato- che in questi anni si è fatto comunque carico di ammortizzatori sociali, mancato gettito, un ingresso indiretto con Poste Italiane prima della loro privatizzazione, procedure giudiziali e via elencando- con ITA.
Ad ogni passaggio le stesse ricette: ridimensionamenti occupazionali e di quote di mercato, investimenti anemici, operazioni opache se non addirittura penalmente rilevanti sugli attivi societari e sui centri di spesa (consulenze, contratti di assicurazione, rappresentanza…), finanziarizzazione (aerei in leasing, esternalizzazioni dei servizi) riduzione delle attività (servizi a terra, manutenzioni anche leggere, cargo).
Non c’è due senza tre e stupisce che ci si attendano risultati diversi: come nel gioco delle tre carte, quale sia la scelta, il risultato è uguale. Ci rimettono i lavoratori, espulsi a migliaia dal perimetro aziendale (dai 24.000 dipendenti diretti della gestione pubblica, si arriva oggi a vociferare di nemmeno 5.000 effettivi), l’utenza (spinta nelle braccia della concorrenza straniera tanto sul mercato dei voli interni quanto alimentando le grandi compagnie nelle tratte a lungo raggio con scalo fuori dall’Italia), l’indotto turistico, infrastrutturale e dei fornitori.
L’unica ipotesi che aveva un barlume di politica industriale, per quanto tutta da circostanziare, era un’integrazione con le Ferrovie nel quadro di un polo pubblico della mobilità, tramontata anch’essa e ad Alitalia si affianca la vertenza Air Italy (ex Meridiana). Al di là della retorica sulla salvaguardia dei posti di lavoro, si sta consegnando mani e piedi a operatori stranieri l’intero trasporto aereo scrivendo l’epitaffio sugli ultimi complessi aziendali superstiti ponendo quindi le basi per la definitiva uscita di qualsiasi operatore italiano nell’ipotesi di una anche parziale ripresa, pur su basi diverse, in esito a un eventuale allentamento delle restrizioni pandemiche avviando, anche in questo comparto, il sistema economico a uno stato di vassallaggio estero.
Oggi ci si sbraccia a difendere ‘il tricolore’ dopo aver alzato bandiera bianca da trent’anni rispetto alle linee d’indirizzo comunitarie, al dogma delle privatizzazioni, all’abdicazione a qualsiasi politica industriale pubblica e al parassitismo clientelare interno.
Una capitolazione, dimenticando fra l’altro i costi che le procedure di liquidazione hanno per la collettività: creditori non saldati, iniziative giudiziarie (revocatorie, azioni di responsabilità etc…), svalutazione degli attivi conseguenti alle vendite giudiziarie. Basti in questo senso pensare che è ancor oggi aperta la procedura di amministrazione straordinaria della ‘vecchia’ Alitalia pubblica iniziata nel 2008!
Roma e il suo tessuto economico rischiano di essere pesantemente investiti da questa decisione che è direttamente riconducibile alle istituzioni comunitarie alle quali il governo italiano non manca mai di genuflettersi: la nuova compagnia, nata dopo la consueta penosa ‘umiliazione stile Canossa’ a Bruxelles, ha una dotazione finanziaria ridicola, dimensioni insignificanti e, per unanime opinione, nessuna prospettiva diversa dal diventare una modesta sussidiaria regionale di qualche gruppo estero, probabilmente Lufthansa. Lo scorso 20 maggio veniva annunciato l’avvio di una collaborazione fra Alitalia e Deutsche Bank per lo sviluppo di una carta di credito ‘affinity’, un fatto di cui poco si è parlato nonostante quest’ultima non sia solo ‘una banca’ ma il vero e proprio braccio economico del capitalismo renano da sempre a sostegno delle politiche mercantiliste della Germania e già oggi un protagonista nel comparto aeroportuale come azionista di riferimento di SAVE, la società che gestisce la rete aeroportuale del Nord Est: Venezia, Treviso, Verona e, non da ultimo, Brescia Montichiari, il centro di smistamento nazionale delle Poste.
Un indizio, nulla di più, ma non è certo difficile leggere una precisa volontà distruttiva dietro la scelta di partire con la nuova ITA il 15 ottobre, all’avvio del trimestre di minor domanda per il trasporto aereo. Una scelta che appare compiuta per minare fin dall’avvio la sostenibilità finanziaria della nuova compagine. Anche stavolta, invece delle cinture, allacciamo il cappio.
Alberto Leoncini
(n. 51 – settembre/ottobre 2021)