Liquidazione coatta amministrativa, praticamente il fallimento: sembra essere questo –scritto da tempo e rimasto tale ora che è al termine il quinquennio grillino in Campidoglio– il futuro di Farmacap, l’azienda speciale delle farmacie comunali di Roma Capitale.
Il precedente commissario straordinario, Marco Vinicio Susanna, ed il direttore generale ad interim, Emiliano Mancini, erano addirittura arrivati al punto di comunicare alle rappresentanze sindacali aziendali l’impossibilità di pagare forniture e stipendi, rassegnando in seguito le dimissioni.
Il 20 maggio è giunta la nuova nomina a Commissario straordinario, sempre da parte della sindaca Raggi, di Jacopo Marzetti. Nella comunicazione sul sito istituzionale del Comune, si legge che «verrà poi predisposto e organizzato quanto occorre per eseguire il progetto di riorganizzazione di Farmacap nell’ambito del piano di razionalizzazione delle partecipate di Roma Capitale. Per Farmacap è previsto uno scorporo del ramo che svolge prevalentemente politiche sociali, dandogli la veste giuridica più idonea di natura pubblica. E, invece, una aggregazione del settore Farmacie con altri soggetti che svolgono servizi per il benessere culturale e sociale dei cittadini di Roma Capitale, mantenendo il carattere pubblico della partecipazione». Razionalizzare, accorpare! Un linguaggio da pre-liquidazione con il contentino estetico del formale richiamo al carattere «pubblico». Con cosa peraltro si intende accorpare Farmacap? La Corte dei Conti ha già espresso più di una riserva sull’idea di accorpamento con Zetema (l’azienda capitolina che opera nel settore “Cultura”) proposta il 6 maggio dall’assessore al Bilancio, Gianni Lemmetti, con delega alle Società Partecipate, al termine del Consiglio comunale straordinario sull’Azienda. I magistrati contabili segnalano la mancata approvazione da parte del Comune dei bilanci predisposti dall’azienda dal 2013 al 2020 (sindacature Marino e Raggi) che non consente neanche di valutare l’idea e che «ogni decisione di razionalizzazione deve essere ancorata» alle norme, ovvero l’accorpamento è ipotizzabile fra società che svolgono attività «analoga o similare» fra loro.
Lo spettro del fallimento si avvicina quindi a grandi passi. Il ‘fine vita’ dell’azienda, ossia la liquidazione, era una prospettiva caldeggiata già sotto la consiliatura di Ignazio Marino mediante la trasformazione dell’azienda ‘speciale’ in una società di capitali o in una cosiddetta ‘società benefit’, entrambe foriere all’ingresso di capitali privati. Sarebbe una catastrofe per questa azienda pubblica di Roma Capitale se la sua rete (la più grande d’Italia. Non stupiscono quindi gli appetiti della speculazione!) di quarantacinque farmacie con la ventilata possibilità di aprirne altre 11 per coprire il fabbisogno cittadino –in larga parte in quartieri periferici cronicamente sprovvisti di servizi– fosse compromessa e smembrata, tra l’altro nel bel mezzo di una pandemia-sindemia che ha messo in evidenza l’importanza di assetti ed indirizzo pubblico in un settore essenziale quale quello sanitario, a fronte dei danni derivati dai tagli neoliberali ispirati da Bruxelles-Francoforte e dei forti limiti e dell’inefficacia intrinseca del sistema privato che antepone il profitto all’utilità sociale. Farmacap, nell’ambito di ciò che rimane «pubblico», rappresenta una voce essenziale, fondamentale, con i suoi presìdi territoriali, di prossimità, di salute pubblica, un patrimonio inestimabile in termini di utilità sociale e professionalità per la sua capacità di erogare innumerevoli servizi collaterali alla fornitura di farmaci in aree non di rado molto difficili e comunque a fallimento di mercato, quali quelle delle periferie. In queste un privato difficilmente aprirebbe una farmacia essendo comprensori meno appetibili sul piano degli utili, men che mai vi affiancherebbe servizi di interesse pubblico collaterali quali ad esempio attività di monitoraggio (screening), ascolto, primo contatto con l’utenza del Servizio Sanitario Nazionale.
Commissariata da sette anni, con commissari che hanno mantenuto incarichi costosissimi senza produrre una ripresa e direttori generali che non hanno varato un solo piano industriale men che meno un piano di rilancio aziendale, bilanci non approvati da anni, una cronica e pessima ‘gestione emergenziale’, finanziamenti insufficienti a garantire acquisti essenziali e poi una riduzione dell’accesso al credito (taglio dei fidi). Sono questi gli ingredienti di una crisi che ancora una volta sta per essere scaricata sui dipendenti, sulla filiera dei fornitori in particolare medio-piccoli e sulla cittadinanza, in particolare delle periferie. Una crisi che è lecito sospettare sia prodotto di una manifesta volontà di essere inerti, di una scelta politica di induzione al fallimento: un esito atteso, visto il boicottaggio di fatto dell’operatività dell’impresa, prodromico alla consegna dell’Azienda a soggetti privati rinunciando fra l’altro agli utili potenzialmente ottenibili da un comparto come quello della vendita al dettaglio di farmaci.
Nonostante il chiaro indirizzo dell’assemblea capitolina dato in questi anni all’unanimità per il mantenimento pubblico di Farmacap, senza margini per applicare prospettive diverse, la giunta, cioè l’esecutivo che è preposto ad attuare quello che prescrive l’aula, non si è adeguata all’indirizzo politico ricevuto e, anziché nominare un nuovo cda, ha voluto il commissariamento. Per traghettarla verso il tracollo?
La responsabilità resta tutta della politica che deve trovare una soluzione per garantire da subito l’operatività ordinaria e i livelli occupazionali, rifinanziare subito l’Azienda Speciale comunale Farmacap, consolidandone il patrimonio a partire dall’acquisizione degli immobili aziendali, rilanciare l’attività, verificare e monitorare la struttura dei costi e la loro inerenza agli effettivi bisogni dell’impresa e avviare un piano di risanamento che non sia ‘tagli, spezzatino e privatizzazione’ ma che punti all’ampliamento dei servizi offerti, all’integrazione con il servizio sanitario pubblico, al rilancio dell’immagine e della comunicazione (sia in rete che in termini di radicamento nelle aree e quartieri di riferimento) e, ancor di più, sul ruolo pubblico dell’azienda: contrasto alla povertà sanitaria, collaborando attivamente con il terzo settore e il volontariato, sostegno alle fasce deboli e alle loro esigenze nonché alle professioni sanitarie nell’incontro domanda/offerta, sviluppo in economia e a costi minori delle preparazioni galeniche di base, ampliamento dei servizi offerti, sensibilizzazione ed educazione sanitaria in una prospettiva di prevenzione e attenzione alla salute nel suo significato più completo, in una direzione di prossimità considerato il palese fallimento della logica ‘ospedalecentrica’ che ha guidato le linee d’indirizzo nella sanità degli ultimi anni.
Fabrizio Mezzo
(n. 51 – settembre/ottobre 2021)