«Innanzitutto la salute» è il mantra strombazzato da un anno e mezzo dai presidenti del Consiglio –ultimo Draghi–, dal presidente della Repubblica Mattarella, dalle forze politiche e dai consulenti medici governativi, dalla grancassa massmediatica e via elencando. Singolare, dopo decenni di trasversali (politicamente) e progressivi de finanziamenti alla sanità pubblica oltre che di bassa attenzione all’urgenza delle cure (le liste d’attesa…) e alle prevenzioni. Addirittura, con in corso la pandemia, impazzavano le dichiarazioni sulla necessità di un ritorno alla piena gestione pubblica della sanità e su una profonda revisione del vigente regionalismo sanitario che tanti guai ha prodotto nell’affrontarla. Al riguardo tutto si è assopito. Immarcescibile la glorificazione dell’Unione Europea (UE) stavolta per la «pioggia di miliardi» benevolmente concessa all’Italia in primis per rimettere in sesto la sanità. Fiumi di parole. Ciò che governo Draghi ed istituzioni europee hanno convenuto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) o Recovery Plan alla specifica voce “Missione Salute” racconta un’altra storia. Premessa doverosa: i fondi europei sono non delle regalìe ma in parte prestiti (122,6 miliardi), in parte “a fondo perduto” (68,9 miliardi), tutti condizionati nel senso che le quote sono erogate via via solo dopo il varo delle riforme richieste dalle istituzioni europee e comunque previo avallo sulle destinazioni di spesa. Il “fondo perduto”, poi, compensa molto malamente la già significativa contribuzione dell’Italia al bilancio comunitario europeo che sarà incrementata in conseguenza dell’uscita della Gran Bretagna dalla UE e degli ulteriori oneri di bilancio conseguenti alla pandemia.
Partiamo dai finanziamenti: il PNRR prevede 15,63 miliardi di euro, cui è da aggiungere 1,71 mld del REACT-EU (cfr. più avanti), per un totale di 17,34 miliardi che configura la voce “europea”, molto impropria per le ragioni sopra indicate. Gli stanziamenti ulteriori sono nazionali: giungono dal Fondo Nazionale Complementare (2,89 mld) e da altri previsti nel D.L. 34/2020 art.1 c.4 1 e c. 5 (3,72 miliardi), per un totale di 6,61 miliardi. In totale 23,95 miliardi, dei 191,5 assegnati all’Italia, peraltro da considerare erogabili nell’arco di sei –6– anni, stante le condizionalità cui si accennava prima. I numeri, insomma, già la dicono lunga.
Entriamo un po’ più nel merito.
I fondi del REACT-EU si articolano in 1,1 miliardi (spese straordinarie per l’assunzione a tempo determinato di personale sanitario nel contrasto della pandemia), 400 milioni (contributo per l’acquisto di vaccini anti SARS-CoV-2 e di farmaci per le cure dei pazienti con Covid-19) e 210 milioni (aumento dei contratti di formazione dei medici specializzandi, dagli attuali 6.700 posti in specializzazione a circa 10.400 l’anno). Questi interventi si esauriscono a fine 2023 e, relativamente alla parte stipendiale, già nel 2027 vengono meno i fondi (cfr. più avanti).
Il Fondo Nazionale Complementare, approvato dal Decreto-legge n. 59/2021, viene finanziato da risorse nazionali reperite con variazioni di bilancio ed incremento del debito nazionale. Il finanziamento complessivo previsto, spalmato dal 2021 al 2026, è di 2,89 miliardi le cui destinazioni d’uso (“Salute, ambiente e clima”; “Verso un ospedale sicuro e sostenibile”; “Ecosistema innovativo della salute”; per il Ministero dell’Università e Ricerca “Iniziative di ricerca per tecnologie e percorsi innovativi in ambito sanitario e assistenziale”) sono estremamente generiche e fumose.
La parte più cospicua riguarda i progetti del PNRR sul potenziamento e la creazione di strutture e presidi territoriali come le Case e gli Ospedali di Comunità, il rafforzamento dell’assistenza domiciliare e lo sviluppo della telemedicina (finanziamento con 7 miliardi di euro) che prevede, tra l’altro, la riduzione del numero dei medici di famiglia o, come si diceva un tempo, di base.
Si prospetta la costruzione di 1.350 Case della Comunità e 1.200 Ospedali di Comunità (i cui servizi dovrebbero partire dal 2027). Le prime sono pensate per rispondere a domicilio a quel 38% di italiani (23 milioni) affetti da malattie croniche come ipertensione, diabete, problemi respiratori, nefropatia e scompenso cardiaco. Gli Ospedali di Comunità per rispondere ai bisogni sociosanitari degli anziani fragili (strutture a gestione infermieristica, con un medico presente per non più di tre ore al giorno).
Ora, per far funzionare queste strutture, l’Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari) stima necessaria l’assunzione di oltre 33mila infermieri, con incremento di un quinto del costo del personale. Proprio gli stipendi dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale (SSN, circa 35 miliardi l’anno) sono già ben oltre i limiti previsti dal tetto di spesa (29 miliardi) non sufficienti per cure di qualità, visto che il numero dei sanitari assunti con contratti precari è aumentato del 60% nell’ultimo decennio. Numeri sottostimati secondo il Crea (Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità che fa capo all’Università Tor Vergata) che indica tra i 162mila e i 272mila il numero di infermieri confacente alle richieste di cure. Il che presuppone un incremento della capacità formativa del sistema universitario, cui destinare importanti investimenti non ancora chiaramente disponibili. Tutto questo, siccome il PNRR finanzia gli investimenti e solo in piccolissima parte le spese gestionali del personale, dovrebbe essere a carico del bilancio pubblico. Nel 2027, quando finiranno le risorse del Recovery Plan, il piano di potenziamento dell’assistenza territoriale sarà ritenuto a regime e dovrà poggiare sui finanziamenti nazionali che non ci sono. Solo per il personale aggiuntivo delle Case della Comunità, dell’Assistenza Domiciliare Integrata e degli Ospedali di Comunità si stima un costo di circa 2,08 miliardi l’anno e la copertura attuale è solo di circa 745 milioni (art. 1 del D.L 34/2020). Per reperire le risorse mancanti il governo Draghi prefigura un “Piano di sostenibilità” 2022-2027 (documentazione inviata all’UE in accompagno al PNRR, cfr. pp. 2400/2403, 48-51 https://www.camera.it/temiap/2021/05/20/OCD177- 4961.pdf#page=2400) articolato in quattro misure per il finanziamento intanto del solo anno 2027. La prima prevede un aumento annuo del Fondo Sanitario Nazionale già nel 2027, ma quantificazione e reperimento fluttuano nell’indefinito. Le altre tre misure sono accomunate dalla parola “riduzione”, ovverosia tagli su cui da anni Governo e Regioni intervengono dovendo poi registrare costanti aumenti di spesa per l’incremento del numero dei pazienti sia per età, sia per scorrette condotte di vita (alimentazione, attività fisica, ecc.).
Vediamo questi tre ambiti di riduzione.
Primo: «riduzione dei ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza per patologie croniche» (diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva e ipertensione) con relativi pazienti dirottati nelle Case della Comunità, ADI, Ospedali di Comunità. Si ipotizzano percentuali alte rispetto ai dati del flusso delle Schede di Dimissione Ospedaliera 2019: 90% dei ricoveri programmati non urgenti, 90% di quelli programmati con pre-ricovero, 40% dei ricoveri urgenti per le tre condizioni cliniche sopra menzionate.
Secondo: «Riduzione degli accessi inappropriati al pronto soccorso per i codici bianco e verde» classificati come non urgenti. Attualmente la stima è di 21 milioni di accessi al pronto soccorso, con circa 16 milioni con codici bianco e verde. Che si farà? Anche qui si dirotterà sulle Case della Comunità!
Terzo: «Riduzione della spesa farmaceutica relativa a tre classi di farmaci ad alto consumo e con rischio di inappropriatezza». Nel 2019 è stata calcolata una spesa farmaceutica complessiva di 30,8 miliardi di euro, di cui il 76,4% a carico del SSN. Ebbene, visti gli interventi di potenziamento dell’assistenza territoriale, della promozione dell’assistenza domiciliare, si sostiene che, con la presa in carico integrata e continua del paziente, si potrà procedere ad una forte razionalizzazione delle prescrizioni farmaceutiche, in particolare di quelle classi di farmaci come antibiotici, antiulcera e cardiovascolari.
Tirando le somme: questi ‘risparmi’ priveranno non pochi di cure, spingeranno a pagamento –per chi potrà permetterselo– verso il privato e sono già ritenuti largamente insufficienti –da diverse categorie sanitarie– per fronteggiare nel solo 2027 la copertura delle spese non finanziate per i nuovi servizi attivati dal PNRR. Insomma, tagli per progetti fumosi di cui si sa che mancheranno i fondi, con una prospettiva di prevedibile paralisi di servizi sanitari alcuni che si fermeranno, altri che non partiranno proprio ed il rischio molto fondato che, tra i pochi fondi disponibili, una parte sarà destinata (ad es. per l’assistenza domiciliare integrata) ad erogatori privati.
Infine, nel PNRR, non ci sono finanziamenti diretti per la prevenzione la cui tenuta, proprio nella fase della pandemia, ha mostrato tutti i suoi limiti, nonostante l’impegno degli operatori. Qualche modesto finanziamento è previsto solo nel Fondo Complementare Nazionale, ma ben poca cosa rispetto alla necessità di riorganizzare e potenziare i Dipartimenti di prevenzione.
Insomma la pandemia, per giunta di fronte ai rischi di altre possibili pandemie, nulla ha insegnato. Ma, tranquilli: «Innanzitutto la salute!». Parola di Draghi e della UE.
Francesco Labonia
(n. 51 – settembre / ottobre 2021)