Guerra in Ucraina, autonomia differenziata, Patto di Stabilità, PNRR, MES sono i principali nodi che definiscono il perimetro politico ed esistenziale dell’Italia in questa delicata e durevole fase. Un filo euro-atlantico li collega tutti. La guerra (per procura) in Ucraina contro la Russia rappresenta un tornante storico per le sue implicazioni geopolitiche e geoeconomiche. O gli USA (il ‘centro’ dell’Occidente) vincono per invertire la linea di tendenza di progressiva erosione del proprio ruolo egemone globale oppure si irrobustirà quella nuova architettura di relazioni internazionali cosiddetta multipolare, in via di dispiegamento con –sinora– la sua indeterminatezza su come si strutturerà e sui diversi attori statuali che ne saranno protagonisti.
Allo stato, pur con criticità di merito, le forniture militari USA-NATO all’Ucraina mirano ad alimentare una ferita purulenta e di lunga durata nel punto di maggiore sensibilità geopolitica e culturale della Russia, quantunque sinora siano calibrate –sulla base di calcoli su vantaggi e svantaggi– per non provocare un conflitto molto più ampio con la Russia. La spirale ha però portato ad una situazione tale per cui il prolungamento della guerra ora coincide più con gli interessi strategici russi che non con quelli USA-NATO. Si puntava a logorare la Russia nelle sue finanze e risorse militari, in vista se non della sua implosione, quanto meno di un suo ‘contenimento’ e ridimensionamento sugli scenari globali. Accettata la sfida di USA e NATO, la Russia si sta dimostrando più determinata a portarla in fondo e più preparata a farlo, logorando il nemico militarmente, economicamente, geopoliticamente. La fotografia di fase ci pare questa.
A pagare il prezzo più alto sono innanzitutto gli alleati/subalterni storici europei degli USA che devono aumentare le spese militari e comprimere le già asfittiche spese sociali, oltre i danni derivati da embarghi, rincari energetici, incremento dei costi d’importazione ed altro di collaterale. Il conflitto potrebbe durare per molto tempo e fare danni molto più al di qua che al di là dell’Atlantico. Lo scenario è che la guerra possa cessare quando sarà la NATO a gettare la spugna. Dover abbandonare l’Ucraina come l’Afghanistan (2021) sarebbe un’ulteriore perdita di credibilità per gli USA, gestori d’ultima istanza della NATO, e obbligherebbe a ricercare una exit strategy che sia non una fuga, ma uno sganciamento onorevole e contenuto nei suoi contraccolpi. Viceversa per la Russia, che in questa guerra ci è stata trascinata, sembra aprirsi l’opportunità di destabilizzare il regime ucraino e soprattutto logorare i suoi procuratori occidentali, con rischi di tenuta dell’impalcatura atlantica della UE. Quale prezzo, altrimenti, il blocco USA-NATO-UE è disposto a pagare? La sensazione è che a Washington siano stati fatti altri calcoli. Ora nei pensatoi USA si prospetta una soluzione all’israeliana (assistenza militare duratura all’Ucraina) o alla coreana (congelamento del conflitto) ma tutto confusamente e, in apparenza almeno, ignorando le esigenze russe. Il tempo intanto scorre, con costi –e sofferenze– a tutto campo crescenti. A Vilnius (11-12 luglio) gli USA hanno mostrato un volto debolmente duro sull’Ucraina (adesione alla NATO sì, ma dopo la vittoria; forniture militari sì, ma con carenze quantitative e qualitative per il tipo di conflitto in essere) e bellicosamente minaccioso nel quadrante dell’Indo-Pacifico, dove vogliono proiettare la NATO d’intesa con l’altra catena di vassallaggio militare, l’AUKUS, per una probabile guerra contro il principale nemico, la Cina.
La Germania attraversa una recessione che può contagiare le economie –con lei fortemente integrate– di parecchi Paesi (Italia innanzitutto) dell’Unione Europea. La guerra, guarda caso, ha stravolto la strategia tedesca basata su importazione di energia a basso costo dalla Russia ed esportazione, principalmente in Cina, di prodotti di valore. La rottura del legame con la Russia ha minato alla base questo sistema che le garantiva una prosperità economica senza precedenti, anche a detrimento dei Paesi del sud Europa. L’accumulo, dopo decenni di mercantilismo sfrenato, di surplus nella bilancia commerciale ed una posizione finanziaria netta ora sono erosi rapidamente dall’incremento costante dei prezzi dell’energia, dal declinare della competitività industriale, delle esportazioni, degli stessi ordini e dagli spostamenti di una certa consistenza degli impianti di produzione negli Stati Uniti e in Cina. L’effetto della guerra ha fatto sì che il guinzaglio USA, allo stato, si sia fatto più corto. Ancora una volta, nella sua storia, la Germania si trova nella difficoltà strategica di decidere da che lato geografico guardare.
Il governo Meloni, in continuità con Draghi ed esecutivi precedenti, è allineato con l’alleato egemone dal quale si aspettano prebende, vantaggi, opportunità almeno. Intanto, più spese militari sforbiciando le spese sociali, in primis quelle sanitarie (le casse languono)! La tenuta del Paese è fortemente a rischio a causa di altre macro questioni, prodotto del combinato disposto UE-euro. Lo è per il regionalismo differenziato (significativo che sia un governo con Fratelli d’Italia partito di maggioranza a prefigurare una disunione nazionale e della Repubblica in tanti mini-Stati regionali). Lo è per le direttrici anti-sociali della BCE che, da impostazione tedesca, alza di continuo i tassi d’interesse «per combattere l’inflazione» riducendo i consumi e aggravando la crisi del mondo produttivo in penuria di liquidità. Lo è per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) con i suoi fondi in gran parte a debito, tutti comunque ‘scaglionati’ ed erogati previo soddisfacimento di «condizionalità» e destinazioni in gran parte discutibili ed estranee alle necessità di fondo del Paese e di larghi strati popolari della società italiana. Lo è per la ratifica prevista in autunno del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) riformato, una sorta di PNRR quanto meno sul sistema bancario (con importanti ricadute sul tessuto produttivo e sociale), ratifica pretesa dai vertici delle istituzioni europee.
Su questi nodi si gioca il futuro del Paese e si configura lo spazio per individuare linee sensate e possibili di resistenza e di alternativa.
Indipendenza
(n. 54 – luglio/agosto 2023)