Indipendenza è una rivista nazionalitaria, patriottica, socialista, nata nel 1986 sulla base di un denominatore comune: un radicale impegno anticapitalista ed antimperialista, che valorizzi il concetto di indipendenza nazionale, nel complementare obiettivo della liberazione sociale.
Un osservatorio puntato sulla valenza dirompente di lotte di matrice nazionalitaria (anche nel cuore dell’Occidente industrializzato, ad esempio quelle basche, corse, irlandesi) e patriottica che propongono modelli societari avanzati o fanno riferimento al socialismo e si basano sul rispetto delle minoranze, dell’ambiente e su un’alternativa praticabile al paradigma di sviluppo capitalista ed industrialista.
Qualcosa di antitetico alla barbarie para fascista della pulizia etnica e all’autoritarismo di quegli Stati plurinazionali sedicenti democratici che reprimono la diversità per esigenze di mercato.
In un mondo in cui la dominazione politica è incorporata nelle merci di massa, una libertaria espressione delle identità culturali dei popoli, delle loro economie identitarie, dell’essere liberi in libere terre, premessa imprescindibile per un senso di fratellanza e un sistema di rapporti internazionali giusto ed equo, è già di per sé qualcosa che strutturalmente contrasta con gli interessi sovranazionali delle oligarchie imprenditorial-finanziarie e di ogni forma di capitalismo.
Non è del resto un caso che, nel mondo, siano proprio le lotte nazionalitarie e patriottiche radicali di liberazione a rappresentare il fronte più avanzato ed incisivo della conflittualità antisistemica. A presentarsi come alternativa seriamente possibile al modello capitalista ed ai suoi strumenti di oppressione internazionale: Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio, NATO, ecc. Se il diritto all’autodeterminazione dei popoli rimane quindi un punto fermo, questo non può diventare il pretesto per solidarizzare con chi di esso si serve per negarlo ad altri. Così come il diritto alla differenza non va confuso o mistificato con l’imposizione della differenza, con il razzismo differenzialista.
In questo senso la valenza “comunistica” di una nazione non si può fermare al solo piano culturale, per poi riperpetuare nelle dinamiche sociali e politiche interne, quand’anche in lingua autoctona, la stessa logica di oppressione e di dipendenza che aveva dato origine alla lotta di liberazione.
Lo snodo strategico tra un approccio reazionario ed uno emancipatorio alla questione nazionale sta tutto qui, per non portarsi dietro, nella costruzione possibile di una prospettiva socialista o comunque, a prescindere da come la si voglia definire, di una società liberata e libera, nodi irrisolti non meno rilevanti e inseparabili di quelli di classe.
Rivalutare la questione nazionale, le questioni nazionali, nelle proprie valenze culturali, politiche, economiche, quindi radicali, rivoluzionarie, “comunistiche”, assumerle quale asse portante e di raccordo della lotta politica anticapitalistica ed antimperialista, significa andare –oltre il rifiuto dello stato di cose presenti– verso un’alternativa di società, una prospettiva materiale di costruzione realistica e possibile dell’emancipazione sociale.
Un nodo, quello di una autentica e reale indipendenza nazionale, che si pone anche nel nostro Paese, e che alla ripetuta prova dei fatti non può più essere negato, dissimulato, minimizzato. Un nodo ineludibile, da affrontare complessivamente, una vera e propria cruna dell’ago dalla quale non si può prescindere in quanto condizionante cerniera fra politica estera e politica interna.
La negazione di una questione nazionale italiana costituisce, a ben vedere, non solo la causa del degrado politico che caratterizza la vita della nostra nazione, ma ancor più, in queste condizioni di sudditanza imperialistica e di sovranità molto limitata, la ragione dell’impossibilità di una radicale trasformazione del modo di produzione e di distribuzione delle ricchezze, dei rapporti tra gli uomini e tra questi e l’ecosistema, l’impossibilità, insomma, di un’autentica liberazione.
Nazionalitarismo, quindi, come proposta di liberazione sociale e di difesa del territorio dalla natura strutturalmente onnivora e distruttiva del capitalismo e delle sue logiche di profitto.
Nazionalitarismo come proposta di antirazzismo, di solidarismo di base, di antifascismo, che sappia vedere e contrastare i germi dello sfruttamento e della persecuzione dell’altro ovunque questi si manifestino. In tale prospettiva ci sentiamo inter-nazionalisti, considerandoci vicini politicamente ed eticamente a qualunque realtà si muova in senso anticapitalista ed antimperialista.
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Il nostro sogno egualitario, di giustizia sociale, di liberazione individuale e collettiva è, in quest’ottica, senza frontiere.
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